La storia dello stoccafisso e del baccalà

La storia dello stoccafisso e del baccalà

Lo stoccafisso ed il baccalà: due pietanze molto apprezzate in Italia nonché due alimenti dietro ai quali si nascondono secoli di storia e molte curiosità.

Vediamo insieme di scoprire quanto più è possibile su questi ingredienti così tanto presenti nella tradizione culinaria italiana ed estera.

Le origini

Lo stoccafisso ed il baccalà sono spesso utilizzati in molte ricette tipiche della tradizione italiana. Alcuni, soprattutto i meno esperti di cucina, tendono a pensare che questi due termini indichino lo stesso alimento, altri invece fanno un po’ fatica a distinguere una variante dall’altra. In effetti si tratta di due prodotti simili, ma non uguali. Lo stoccafisso infatti non viene essiccato, mentre il baccalà viene salato e quindi sottoposto ad un processo di stagionatura. Tanto lo stoccafisso quanto il baccalà però derivano dalla lavorazione di una specie particolarmente pregiata di merluzzo, il gadus morhua, che da secoli popola le acque dei mari del nord. Ancora oggi tagliapietrasrl.com, una delle aziende italiane più longeve in questo settore, importa il baccalà dalla Danimarca e lo stoccafisso direttamente da produttori locali delle isole Lofoten in Norvegia.

Pesce essiccato

Dato che a queste latitudini, complici le temperature particolarmente rigide, non sempre in passato era facile procacciarsi il cibo, la popolazione tendeva a fare scorta degli alimenti reperibili durante determinati periodi dell’anno ed a conservarli per tempi molto lunghi in modo che potessero resistere senza deteriorarsi. Da qui l’esigenza di immagazzinare, tra le tante cose, anche il merluzzo. Si procedeva quindi lasciando essiccare il pesce per circa 90 giorni. Il processo avveniva all’aperto, sfruttando l’aria fredda del nord. Per le popolazioni autoctone si trattava di una pratica abituale, di nulla di straordinario insomma.

La vista di tutte quelle rastrelliere sormontate da grossi merluzzi dovette però colpire parecchio Pietro Querini, un imprenditore e commerciante veneziano che approdò su quelle coste nel 1432. L’italiano giunse sull’isola di Røst quasi per caso: una tempesta infatti spinse la sua nave su una rotta non prevista e costrinse l’equipaggio ad un ammaraggio di fortuna. La gente del luogo non ebbe problemi ad accogliere i visitatori ed anzi rifocillò i malcapitati con stoccafisso e baccalà. Il sapore di questi prodotti piacque subito al commerciante, tanto che da buon imprenditore non si lasciò sfuggire l’occasione di portare in patria qualche esemplare di merluzzo essiccato. Da quel momento in poi l’Italia divenne uno dei paesi che più mostrò di apprezzare questo tipo di pesce tanto che, in breve tempo, il nostro paese diventò il secondo stato al mondo per fabbisogno procapite. La fortuna di stoccafisso e baccalà, oltre che al sapore ed all’estro culinario della nostra gente, si dové in parte anche alle regole imposte dal Concilio di Trento che prescrisse ai credenti determinate abitudini alimentari, alla facilità con cui questo pesce poteva essere conservato per lunghi periodi di tempo o combinato con ingredienti molto poveri non sacrificando comunque il gusto del piatto nonché al prezzo che in generale era sempre inferiore rispetto a quello dei prodotti ittici più freschi.

Ai giorni nostri l’Unione Europea ha riconosciuto il pregio di questo piatto ed ha stabilito che esso può essere ricavato soltanto partendo da alcune varietà particolarmente pregiate di merluzzo.

Qualche curiosità

Le tecniche che le popolazioni del nord hanno nei secoli impiegato per conservare il merluzzo, trasformandolo come abbiamo visto in baccalà o in stoccafisso, derivano con buona probabilità da pratiche già in uso per la stagionatura della carne di balena. Del resto, almeno secondo la tradizione, i pescatori che arpionarono per primi questi pesci azzurri effettivamente erano usciti in mare per andare a caccia del gigantesco cetaceo. Il caso volle però che l’acqua in quel frangente più che di balene pullulasse di merluzzi e la ciurma, per non compiere un viaggio a vuoto, decise di pescarli comunque. Ne imbarcò una quantità notevole ed ebbe quindi la necessità di assicurarsi che il pescato non andasse a male. Da qui l’idea di procedere con le stesse tecniche di salatura e stagionatura normalmente utilizzate per conservare la carne di balena.

Interessante è anche l’etimologia della parola “baccalà”: secondo alcuni il termine deriverebbe dal fiammingo “kabeljaw”, termine con il quale viene indicato un bastone di pesce. Altri sostengono invece che il vocabolo avrebbe origini latine o neolatine (spagnole nello specifico). “Baculus”  e “bàculo” infatti sono due parole il cui significato è quello di bastone. Quali che siano le origini del termine, il prodotto, si è presto diffuso a tutte le latitudini, tanto che nel ‘600 era ormai abitualmente utilizzato anche dalle popolazioni americane.

Una curiosità davvero impensabile per quanto riguarda il baccalà è che nei tempi antichi i marinai non esitavano ad utilizzarlo quasi come fosse un barometro. In molti erano soliti infatti appenderlo ad un albero della nave e, non appena il sale iniziava a sciogliersi, intuire l’arrivo di un cambiamento delle condizioni climatiche. A quanto pare l’accadimento si verificava sempre a seguito di un incremento dell’umidità, cosa che ha come ovvia conseguenza l’imminente arrivo di una tempesta.

Detto ciò, siete curiosi di assaggiare un po’ di baccalà, ma non avete idea di quale ricetta scegliere? Provate il baccalà alla vicentina, il baccalà in rosso o il baccalà mantecato e non ve ne pentirete!

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